Orsi: “con le mie opere faccio politica”. E si racconta come un fiume in piena….
Massimo Orsi, classe 1962. Professione: artista. Alessandrino di nascita, ma con una percettibile cadenza romana, strascico degli anni vissuti nella capitale dove ha iniziato la propria carriera artistica.
È da poco terminata la sua mostra personale allestita nello spazio espositivo della Libreria Mondadori. La nostra chiacchierata è iniziata quasi sottovoce: non parla di progetti per l’immediato futuro, tantomeno delle ultime opere che sta realizzando, ma, alla prima domanda, è partito come un ‘fiume in piena’.
Artista attento al mondo circostante, ha sempre focalizzato l’oggetto della propria opera sulla società contemporanea e su una presa di posizione anche politica: “Il mio lavoro ha sempre avuto, oltre ad una ricerca estetica, per me molto importante, anche un aspetto politico. Ritengo che l’artista debba essere in grado di prendersi delle responsabilità e dire ciò che pensa. Credo che l’arte debba avere un riscontro con quello che è il contingente, con la società e con il periodo storico attuale”.
Un esempio è ben rappresentato dalla serie dei lavori” DICO”, realizzati negli anni 2009 – 2010, dove esprime attraverso il mezzo pittorico il proprio pensiero, da cui trae origine il titolo: “Cercavo di esprimere il mio pensiero attraverso il mezzo che mi è più congeniale, forse la mia disillusione nasce da lì. Una società dove puoi dire di tutto e di più, ma alla fine ciò che dici non interessa a nessuno. Tutti parlano e sono convinti che ciò che dicono sia interessante, ma proprio per questa convinzione nessuno è interessato a ciò che dice l’altro. È il trionfo dell’individualismo e dell’incomunicabilità. Se pensi a Facebook, dove puoi scrivere ciò che vuoi e poi vai a vedere quanti “mi piace” ti hanno messo, diventi schiavo dell’illusione. Per avere un tuo palcoscenico, devi essere legato ad un gruppo di potere, non ce la fai da solo e, in cambio della libertà di dire ciò che vuoi, di essere amato e ammirato, c’è un prezzo da pagare sempre, e un Dio mercato da riverire e rispettare. La libertà che, sia da destra che da sinistra, ci hanno ‘imposto‘ in questi anni come il più alto valore, in realtà non esiste, è una pura illusione”.
Sappiamo tutto, sappiamo troppo, non conosciamo niente: questo il testo di uno dei DICO che rappresenta bene quanto appena affermato da Massimo Orsi. Frasi semplici e brevi con cui l’artista ha cercato di dire ciò che pensa della società in cui viviamo che, attraverso la rete, i social network, i mass media e le televisioni, ti fa credere in qualcosa che non esiste, e che concorre ad alimentare la tua non conoscenza.
Prima dei DICO, Orsi ha sempre lavorato con un logo di sua invenzione, che ripete specularmente sui quattro lati, la sigla OK ritenuta dall’artista un luogo comune per eccellenza della nostra civiltà, usato come assenso e consenso allo stato delle cose: “l’ho sempre utilizzato in maniera interrogativa, quasi a rivolgermi e a rivolgere la stessa domanda: ma è poi vero che va sempre tutto così bene?”.
Il logo OK è stato recentemente ripreso nei suoi ultimi lavori esposti alla libreria Mondadori, nella mostra dal titolo significativo:” Il primo amore non si scorda mai”.
Questa serie di opere sono state realizzate ritagliando fotocopie, schizzi di progetti, disegni, tutte parte della storia di Massimo, poi inserite in un modulo che ripete il suo logo senza soluzione di continuità. Proprio l’utilizzo di un materiale così fragile, sembra suggerire – secondo Orsi – “la metafora della nostra fragilità e la precarietà dei nostri tempi”.
A proposito dei nostri tempi, come pensi che stia evolvendo l’arte contemporanea?
“Faccio fatica a vedere e parlare di evoluzione, la maggior parte delle opere che ho visto in questi ultimi anni sono completamente astruse e incomprensibili, tanto che spesso mi viene da paragonarle a dei prodotti finanziari che si chiamano “derivati”, che sono stati all’origine dell’attuale crisi finanziaria. Questi prodotti, quasi come dei rebus, conosciuti e non svelati dai pochi addetti ai lavori, basavano la loro appetibilità su una serie di scommesse, fatte sulla pelle e sull’ignoranza di chi li sottoscriveva. Più la scommessa era rischiosa, più questi titoli producevano interessi per le banche che li avevano emessi. Mi pare, parafrasando, che questo tipo di arte sia simile ad un’ assurda scommessa. Gli artisti, invece, dovrebbero cercare una maggiore e più diretta comunicazione, questo permetterebbe una maggiore indipendenza dai poteri e da coloro che vivono grazie all’incomunicabilità dell’arte contemporanea, facendosene portavoce attraverso i loro testi critici e che, a questo punto, diventano più importanti delle opere stesse e degli stessi artisti”.
Quindi l’arte oggi non ha nulla da comunicare?
“L’arte che lo si accetti o meno è sempre figlia del proprio tempo. Questo è un periodo difficile e molto duro, tutti i valori con i quali siamo cresciuti si stanno o si sono sgretolati. Tutto ciò in cui abbiamo creduto ha mostrato il fianco. Nel secolo passato abbiamo visto un’arte critica, provocatoria, di denuncia, che metteva in mostra le contraddizioni della nostra società, oggi non penso sia più sufficiente. Bisognerebbe trovare nuovi valori e più positività, anche se, in un momento di implosione ove tutto sembra come raggelato ed immobile, è un compito, per quanto stimolante, assai arduo”.
In questo momento di grande crisi, in Alessandria si stanno sviluppando collaborazioni tra associazioni culturali di diversa natura: che ne pensi?
“Penso che associarsi possa essere una forza, una sorta di mutuo soccorso, che in momenti difficili e, in realtà provinciali e dissestate come la nostra, rappresenti un aiuto per tirare avanti, ma altrettanto non ritengo sia risolutiva per la nostra condizione. Tutta questa moda del sociale, oggi, la vedo un po’ fine a sé stessa, quasi come se qualsiasi iniziativa seguita da quella parola fosse di per sé nobilitata, e poi forse, mio malgrado, rimango ancora un irrimediabile individualista”.
Quindi che ruolo dovrebbe avere la pittura?
La pittura è un mezzo, uno dei più antichi che l’uomo ha avuto a disposizione per raccontare ed esprimersi e, nonostante la sua venerabile età, gode ancora di buona salute tutto sommato, non credo abbia esaurito le sue potenzialità insomma. Oggi l’artista contemporaneo snobba questo mezzo, ricorrendo a metodi sempre più tecnologici. La manualità e l’unicità dell’opera d’arte, intrinseci nella realizzazione di un dipinto, sono valori ritenuti ormai obsoleti e fuori moda. Io non credo sia così, anzi penso che ora più che mai sia importante recuperare quella parte riflessiva e profonda che è proprio nel fare pittorico.
Progetti futuri?
Mah, ho un’idea che mi frulla in testa da un po’ di tempo, che avevo accantonato e che ora ho ripreso: mi fa anche un po’ paura perché mi porta a cimentarmi in un campo del tutto nuovo, che non conosco. Dall’altro canto questo è ovviamente stimolante. Spero a breve di poterne parlare e mostrarvi il risultato”.
Enrichetta Duse
http://mag.corriereal.info/wordpress/?p=14759
Massimo Orsi, classe 1962. Professione: artista. Alessandrino di nascita, ma con una percettibile cadenza romana, strascico degli anni vissuti nella capitale dove ha iniziato la propria carriera artistica.
È da poco terminata la sua mostra personale allestita nello spazio espositivo della Libreria Mondadori. La nostra chiacchierata è iniziata quasi sottovoce: non parla di progetti per l’immediato futuro, tantomeno delle ultime opere che sta realizzando, ma, alla prima domanda, è partito come un ‘fiume in piena’.
Artista attento al mondo circostante, ha sempre focalizzato l’oggetto della propria opera sulla società contemporanea e su una presa di posizione anche politica: “Il mio lavoro ha sempre avuto, oltre ad una ricerca estetica, per me molto importante, anche un aspetto politico. Ritengo che l’artista debba essere in grado di prendersi delle responsabilità e dire ciò che pensa. Credo che l’arte debba avere un riscontro con quello che è il contingente, con la società e con il periodo storico attuale”.
Un esempio è ben rappresentato dalla serie dei lavori” DICO”, realizzati negli anni 2009 – 2010, dove esprime attraverso il mezzo pittorico il proprio pensiero, da cui trae origine il titolo: “Cercavo di esprimere il mio pensiero attraverso il mezzo che mi è più congeniale, forse la mia disillusione nasce da lì. Una società dove puoi dire di tutto e di più, ma alla fine ciò che dici non interessa a nessuno. Tutti parlano e sono convinti che ciò che dicono sia interessante, ma proprio per questa convinzione nessuno è interessato a ciò che dice l’altro. È il trionfo dell’individualismo e dell’incomunicabilità. Se pensi a Facebook, dove puoi scrivere ciò che vuoi e poi vai a vedere quanti “mi piace” ti hanno messo, diventi schiavo dell’illusione. Per avere un tuo palcoscenico, devi essere legato ad un gruppo di potere, non ce la fai da solo e, in cambio della libertà di dire ciò che vuoi, di essere amato e ammirato, c’è un prezzo da pagare sempre, e un Dio mercato da riverire e rispettare. La libertà che, sia da destra che da sinistra, ci hanno ‘imposto‘ in questi anni come il più alto valore, in realtà non esiste, è una pura illusione”.
Sappiamo tutto, sappiamo troppo, non conosciamo niente: questo il testo di uno dei DICO che rappresenta bene quanto appena affermato da Massimo Orsi. Frasi semplici e brevi con cui l’artista ha cercato di dire ciò che pensa della società in cui viviamo che, attraverso la rete, i social network, i mass media e le televisioni, ti fa credere in qualcosa che non esiste, e che concorre ad alimentare la tua non conoscenza.
Prima dei DICO, Orsi ha sempre lavorato con un logo di sua invenzione, che ripete specularmente sui quattro lati, la sigla OK ritenuta dall’artista un luogo comune per eccellenza della nostra civiltà, usato come assenso e consenso allo stato delle cose: “l’ho sempre utilizzato in maniera interrogativa, quasi a rivolgermi e a rivolgere la stessa domanda: ma è poi vero che va sempre tutto così bene?”.
Il logo OK è stato recentemente ripreso nei suoi ultimi lavori esposti alla libreria Mondadori, nella mostra dal titolo significativo:” Il primo amore non si scorda mai”.
Questa serie di opere sono state realizzate ritagliando fotocopie, schizzi di progetti, disegni, tutte parte della storia di Massimo, poi inserite in un modulo che ripete il suo logo senza soluzione di continuità. Proprio l’utilizzo di un materiale così fragile, sembra suggerire – secondo Orsi – “la metafora della nostra fragilità e la precarietà dei nostri tempi”.
A proposito dei nostri tempi, come pensi che stia evolvendo l’arte contemporanea?
“Faccio fatica a vedere e parlare di evoluzione, la maggior parte delle opere che ho visto in questi ultimi anni sono completamente astruse e incomprensibili, tanto che spesso mi viene da paragonarle a dei prodotti finanziari che si chiamano “derivati”, che sono stati all’origine dell’attuale crisi finanziaria. Questi prodotti, quasi come dei rebus, conosciuti e non svelati dai pochi addetti ai lavori, basavano la loro appetibilità su una serie di scommesse, fatte sulla pelle e sull’ignoranza di chi li sottoscriveva. Più la scommessa era rischiosa, più questi titoli producevano interessi per le banche che li avevano emessi. Mi pare, parafrasando, che questo tipo di arte sia simile ad un’ assurda scommessa. Gli artisti, invece, dovrebbero cercare una maggiore e più diretta comunicazione, questo permetterebbe una maggiore indipendenza dai poteri e da coloro che vivono grazie all’incomunicabilità dell’arte contemporanea, facendosene portavoce attraverso i loro testi critici e che, a questo punto, diventano più importanti delle opere stesse e degli stessi artisti”.
Quindi l’arte oggi non ha nulla da comunicare?
“L’arte che lo si accetti o meno è sempre figlia del proprio tempo. Questo è un periodo difficile e molto duro, tutti i valori con i quali siamo cresciuti si stanno o si sono sgretolati. Tutto ciò in cui abbiamo creduto ha mostrato il fianco. Nel secolo passato abbiamo visto un’arte critica, provocatoria, di denuncia, che metteva in mostra le contraddizioni della nostra società, oggi non penso sia più sufficiente. Bisognerebbe trovare nuovi valori e più positività, anche se, in un momento di implosione ove tutto sembra come raggelato ed immobile, è un compito, per quanto stimolante, assai arduo”.
In questo momento di grande crisi, in Alessandria si stanno sviluppando collaborazioni tra associazioni culturali di diversa natura: che ne pensi?
“Penso che associarsi possa essere una forza, una sorta di mutuo soccorso, che in momenti difficili e, in realtà provinciali e dissestate come la nostra, rappresenti un aiuto per tirare avanti, ma altrettanto non ritengo sia risolutiva per la nostra condizione. Tutta questa moda del sociale, oggi, la vedo un po’ fine a sé stessa, quasi come se qualsiasi iniziativa seguita da quella parola fosse di per sé nobilitata, e poi forse, mio malgrado, rimango ancora un irrimediabile individualista”.
Quindi che ruolo dovrebbe avere la pittura?
La pittura è un mezzo, uno dei più antichi che l’uomo ha avuto a disposizione per raccontare ed esprimersi e, nonostante la sua venerabile età, gode ancora di buona salute tutto sommato, non credo abbia esaurito le sue potenzialità insomma. Oggi l’artista contemporaneo snobba questo mezzo, ricorrendo a metodi sempre più tecnologici. La manualità e l’unicità dell’opera d’arte, intrinseci nella realizzazione di un dipinto, sono valori ritenuti ormai obsoleti e fuori moda. Io non credo sia così, anzi penso che ora più che mai sia importante recuperare quella parte riflessiva e profonda che è proprio nel fare pittorico.
Progetti futuri?
Mah, ho un’idea che mi frulla in testa da un po’ di tempo, che avevo accantonato e che ora ho ripreso: mi fa anche un po’ paura perché mi porta a cimentarmi in un campo del tutto nuovo, che non conosco. Dall’altro canto questo è ovviamente stimolante. Spero a breve di poterne parlare e mostrarvi il risultato”.
Enrichetta Duse
http://mag.corriereal.info/wordpress/?p=14759
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