Francesca Maddaloni, in
arte FrancisMad, è una fotografa alessandrina decisamente talentuosa, con
all’attivo centinaia di scatti che racchiudono il suo amore per la terra
piemontese e un’impostazione decisamente introspettiva del suo lavoro.
Vincitrice di numerosi contest, quali “Watch me” di Vogue, “Racconta la tua
Roma” e “Lavoro, tu come lo vedi?” di La Repubblica, Francis ci racconta il suo
viaggio continuo nel mondo del digitale, non senza lasciarsi guidare da una
vena tradizionalista e romantica.
Cara FrancisMad, ho
letto su Flickr una tua frase che mi ha molto colpita “Il mio scopo è ricerca
della bellezza in tutto ciò che è apparentemente mediocre”.
È questa, secondo
te, l’essenza della fotografia?
Quando utilizzo quest’espressione mi riferisco
unicamente al mio modo personale di far fotografia, e quindi a quello che
vorrei cercare di trasmettere attraverso i miei scatti. Ho sempre amato il
Reportage, come ho sempre amato l’idea di poter utilizzare l’Arte per esprimere
me stessa, raccontare e quindi comunicare, sebbene non mi sia mai voluta
definire artista ne abbia mai intrapreso studi accademici in tal settore.
Guardandomi intorno e soffermandomi a pensare, mi
sono resa conto di quanto anche il più piccolo gesto, il più semplice o addirittura
la situazione più abitudinaria che ci venga in mente possa avere dentro di sé e
quindi trasmettere un potenziale ed una bellezza unici, quindi mi sono detta: “perché
non tentare di fotografare tutto questo? Perché non testimoniare l’esistenza di
questa specialità? ”. La fotografia, nel suo essere accessibile ed essenziale, più
di ogni altra forma d’arte ha il potere di mostrare tutto questo attraverso un’immagine, di fornirci
la prova che la bellezza esiste ed è tutta intorno a noi anche quando si è
convinti del contrario, anche quando la realtà stessa di tutti giorni ci sembra
terribile. Basta ‘’semplicemente’’ cercare.
Se mi capita di dover
dare una definizione al concetto di ‘’essenza’’ in linea più generale, mi piace
citare una frase di Helmut Newton in cui credo molto e che recita ‘’Il
desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre
concetti che riassumono l’arte della fotografia.’’. Credo
che questa sia la vera essenza universale dello scrivere con la luce. Dipende
tutto dalla propria sensibilità e da ciò che si ha dentro cercando di essere
più semplici ed essenziali possibili.
Provieni dalla
fotografia analogica, non senti un po’ di nostalgia con tutto questo digitale?
Non nego di provarne un po’, anche se non
apprezzare il digitale per la sua infinita praticità ed accessibilità, sia in
termini economici che strumentali, sarebbe un controsenso. Quando posso permettermelo
scatto ancora in modo analogico e quando succede mi rendo conto ogni volta di
quanto sia molto più complesso e dispendioso rispetto un qualsiasi lavoro che
avrei fatto con la mia reflex digitale.
Oggi giorno si è abituati a vivere in maniera
veloce, dinamica, ‘’Smart’’; ci si aspetta la realizzazione di una committenza
in tempi brevi, a ‘’salvare il salvabile’’ accumulando hard disc pieni di file
e vivendo costantemente con l’idea di ‘’minima spesa e massimo rendimento’’; mentre
la fotografia analogica richiede tempo, pazienza, esige un tipo di approccio molto
più riflessivo ed autocritico, soprattutto quando ci si rende conto di aver
sbagliato qualcosa e di dover buttare più fotografie di quel che ci si aspettava
dopo aver sostenuto una spesa abbastanza importante per reperire tutto il
materiale necessario (ad esempio acidi, pellicole, carta, ingranditore,
emulsioni ecc..).
Il digitale trasformando
tutto questo in software ha aiutato molto, eppure, ancora adesso, ad essere
sincera, nulla in fotografia riesce ad essere più emozionante e gratificante di
un immagine che lentamente compare su di un pezzo di carta dopo il ‘’terzo
bagno ’’.
Ti va di raccontarci
del tuo progetto sulla Fraschetta?
Parlaci della specialità di questo
territorio, le ragioni per le quali hai deciso di immortalarlo.
Il progetto sulla Fraschetta nasce essenzialmente
dall’esigenza personale di mostrare al di fuori dei confini provinciali i posti
da cui provengo ed in cui sono nata e cresciuta, il tutto collegato all’essenza
di quello che è il mio modo di fotografare che, consiste
nel ricercare la bellezza in tutto ciò che apparentemente può sembrare scontato
o mediocre.
Originariamente il pensiero di un progetto del
genere risale a circa quattro anni fa.
Mi trovavo in macchina con l’allora mio ex fidanzato e stavamo tornando a casa da
Alessandria . Era inverno e c’era la neve fresca da qualche giorno. Alla prima
rotonda in paese che precede l’uscita di via Genova mi accorsi di uno
spettacolo visivo stupefacente che in quel momento stava accadendo: vi era uno
splendido tramonto con la Solvay in sottofondo.
Mi rendo perfettamente
conto che di tramonti con quella fabbrica in lontananza ce ne siano stati
tantissimi fino a quel momento, tuttavia mai come allora mi resi conto di
quanto quella fabbrica poteva essere cosi affascinante con tutte quelle
sfumature di colore che lentamente impregnavano l’atmosfera. Era un tripudio di rosa-violetti
e blu-azzurri e l’aria era cosi tersa che si potevano vedere le montagne in
lontananza. Insomma, rimasi cosi colpita da quello che stavo vedendo che convinsi
il mio ex fidanzato a sterzare e parcheggiare in mezzo alla strada mentre cercavo
di scattare e portare a casa quell’istante irripetibile. Vi assicuro che vedere
quella fabbrica, di per sé orribile esteticamente tranne che di notte (secondo
me), assumere dei caratteri cosi affascinanti grazie alla luce giusta mi ha
fatto molto riflettere e così ho cominciato a considerare l’idea di realizzare
un piccolo progetto che due anni fa ha avuto finalmente inizio. Viaggiando
spesso mi sono resa conto di quanto la Fraschetta sia attualmente considerato un
territorio sconosciuto ma soprattutto sottovalutato da un punto di vista estetico/culturale,
sia da chi vive altrove che addirittura dagli stessi abitanti, me compresa fino
a qualche tempo fa. Al contrario è ricco di potenziale se si pensa al fatto che
si può spaziare da centri storici medioevali a cascine settecentesche fino a
chiese, come quella di Santa Croce a Bosco Marengo con affreschi originali del
Vasari, il tutto immerso in una campagna che ogni stagione cambia colore.
So che il tuo soggetto
preferito è l’albero. Perché ti affascina cosi tanto?
Il mio soggetto
preferito è l’albero perché amo tutto quello che rappresenta ed ha sempre
rappresentato simbolicamente nella cultura e nella storia dell’uomo fin dal
principio, ma anche da un punto di vista estetico e formale. E’ un essere vivente indispensabile per la
vita su questo pianeta, radicato nella terra ma che al tempo stesso si protrae
verso il cielo attraverso il tronco ed i suoi rami, rami che ho sempre
paragonato alle nostre dita. Tutto questo l’ho sempre trovato molto
affascinante.
Quanto contano le
simmetrie nella tua fotografia?
Dipende molto dall’idea
iniziale e dallo scatto che voglio realizzare, ci sono immagini che per essere
efficaci necessitano di simmetria e viceversa, molto spesso valuto sul momento.
Scatti molte foto in
bianco e nero, questione di estetica o c’è qualcosa di più in questa scelta?
Entrambe. Ho sempre amato il bianco e nero per un
discorso estetico oltre al fatto che è il tipo di fotografia con cui ho
cominciato dopo aver abbandonato le pellicole da diapositiva. Credo che ogni
immagine nella mente di un fotografo prima ancora di scattare, nasca già o a
colori o monocromatica, dipende sempre dalla visione e da ciò che si vuole
trasmettere.
Quando mi si chiede perché amo il bianco e nero solitamente
cito una frase di Win Wanders in cui credo molto e che recita: ‘’ il mondo è a
colori, ma la realtà è in bianco e nero’’. Credo che tra mille parole questa
frase esplichi esattamente ciò che penso.
Come gestisci il tuo
lavoro da fotografa con la quotidianità da studentessa?
E’ molto difficile,
soprattutto perché soldi e tempo a disposizione non basterebbero mai. Bisogna
avere, come in tutte le cose, un gran spirito organizzativo e di sacrificio,
molta determinazione e voglia di perseverare. Studiando devo dire che ho molto
tempo da auto gestire quindi scatto quando finisco di studiare e studio quando
finisco di post-produrre. Considerando
che sia la fotografia sia ciò che studio rappresentano esattamente le mie due
grandi passioni, niente mi pesa e mi sento ad oggi molto fortunata.
Ho visto che sei anche
un’ottima blogger.
Cosa ti spinge ad affiancare lo scritto alle tue foto, che
già da sole comunicano molto?
Mi spinge esattamente il
desiderio di comunicare. Comunicare attraverso tutti i modi possibili e
fruibili che quest’era tecnologica ci mette a disposizione gratuitamente. A
parte la fotografia amo molto leggere e scrivere sebbene forse in questo
secondo caso non sia tanto talentuosa, ciò nonostante mixare tutto insieme lo
trovo affascinante e stimolante.
In un mondo fatto di
filtri e Photoshop, qual è la tua opinione sulla post produzione fotografica e
sul foto ritocco?
Spero di non esagerare se scrivo che da un punto di
vista creativo Photoshop sia uno degli strumenti e delle invenzioni più geniali
di questo tempo. Un programma più accessibile e fruibile quanto infinito,
complesso e completo credo non esista e denigrare l’utilizzo della post
produzione lo ritengo cosa da ipocriti. Certo, prima ancora di realizzare
un’ottima post produzione si necessita di un buon lavoro pregresso fatto alla
base e quindi di un’ottima fotografia da cui partire mentre viceversa non è
ammissibile.
Post produrre per correggere o stravolgere una
pessima immagine di partenza non è da professionisti ma principianti. Come
sempre, e qui molti maestri lo insegnano, non è il mezzo che fa la differenza,
ma la mano di chi lo utilizza.
Essere bravi fotografi
e-o bravi grafici fa sì che si possa valorizzare il proprio lavoro attraverso
strumenti come Photoshop e filtri ed anche quando mi sento dire che era meglio
la fotografia analogica perché non si poteva post-produrre mi viene spesso da
sorridere: anche nella fotografia analogica si post produce e post produceva,
solo che era tutto molto più complesso e si richiedevano manualità e
dimestichezza molto difficili da avere se non col tempo.
Quindi, tutti
possiamo essere fotografi?
Assolutamente NO, e su
questo sono molto drastica. Indipendentemente dalle regole e dalla loro conoscenza
che deve essere categorica e fondamentale, come in ogni cosa c’è bisogno di
talento, di estro e quello o lo si ha o non lo si ha. A tal proposito mi piace citare una frase di
Nadar in cui credo molto e che recita:’’ Non esiste la fotografia artistica.
Nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno
vedere ed altre che non sanno nemmeno guardare’’. Non tutti sanno vedere, non
tutti sanno osservare.
Hai all’attivo
progetti futuri o mostre?
Ci sto lavorando. Dopo
la mostra fotografica di Amburgo per ora mi sto impegnando, studio permettendo,
alla realizzazione di qualche esposizione qui a Trieste che abbia come tema il
mio progetto sulla Fraschetta, più avanti si vedrà.
1Come pensi che il territorio
alessandrino, la sua gente, si rapporti all’arte fotografica?
E’ ancora in alto mare. Parecchio
alto mare. Per quanto mi riguarda e per come la vedo, indipendentemente da
fattori economici non esiste ad oggi una cultura adeguata ed una mentalità
aperta e sufficientemente propositiva nei confronti non solo della fotografia
ma delle manifestazioni culturali e dell’Arte stessa più in generale. Molte
iniziative vengono spesso soffocate da un modo di vedere e vivere provinciale,
borghese e talvolta quasi ottuso e questo l’ho potuto constatare utilizzando
come termini di paragone altre città e altre realtà in cui ho vissuto. Abbiamo
come alessandrini la fortuna di vivere a 100km da tre delle maggiori città del
nord ovest, eppure sembriamo isolati dal pianeta: poche volte mi è capitato di
assistere a manifestazioni d’arte indipendente, quando nel resto delle altre
città passavano di moda le famose ‘’cene con delitto’’ ad Alessandria si
scoprivano e cosi anche gli aperitivi con mostre fotografiche o od i concerti
acustici con mostre fotografiche, quando nelle altre città erano ormai
abitudine, ad Alessandria forse si scoprivano eventi del genere. Questi sono solo
piccoli esempi molto banali. E per finire, arrivati quasi al 2015 mi sembra
davvero inaccettabile e surreale ascoltare notizie che riportano la chiusura di
locali notturni con musica dal vivo causa lamentele del vicinato che nel weekend
vuole dormire. Credo che esempi come questi esplichino molto bene la situazione
in cui la città si trova, e di quanto ci sia ancora da lavorare per cambiare.
Non solo fabbriche e negozi portano ricchezza, questo credo che anche a livelli
nazionali ce ne si è ben resi conto. Nel mio piccolo, con il progetto
Fraschetta, spero di poter dare un contributo e valorizzare il nostro
territorio, ma da fuori. Dall’esterno.
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